di Beatrice Silenzi

Gli anni Sessanta sono stati un decennio di grande diversità per il cinema americano.

Le produzioni cinematografiche spaziavano dai kolossal ai film sperimentali diretti da registi blasonati e con la partecipazione di attori celeberrimi.

In questo contesto si trova “Lawrence d’Arabia”, per la regia di David Lean e interpretato da Peter O’Toole. 

Narra la storia di Thomas Edmund Lawrence, ufficiale inglese dal temperamento singolare il quale, durante la Prima Guerra Mondiale, guida la rivolta degli arabi contro i turchi.

Nel raccontare l’epica conquista di Damasco da parte dei beduini, la pellicola si aggiudica sette i premi Oscar, tra cui il premio per il miglior film.

Ma non è finita qui.

Forme di narrazione cinematografica completamente diverse hanno trovato spazio negli anni Sessanta…

“Il laureato” (1967) di Mike Nichols, è un film che esplora l’alienazione e l’incertezza della giovane generazione.

“Easy Rider” (1969) di Dennis Hopper, affronta i temi della ribellione giovanile e della controcultura, ridefinendo i confini del cinema americano stesso.

“Psycho” (1960) di Alfred Hitchcock, è un thriller psicologico disturbante e innovativo.

“2001: Odissea nello spazio” (1968) di Stanley Kubrick, è “il” viaggio spaziale per eccellenza. Filosofico, visionario, audace. 

Opere assolutamente diverse fra loro, dunque, ma un unico comune denominatore: l’impronta indelebile lasciata nel panorama cinematografico.

Registi del calibro di Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Stanley Kubrick, attori come Marlon Brando, Jack Nicholson, Audrey Hepburn, Paul Newman e Dustin Hoffman hanno contribuito a  caratterizzare le pellicole con il proprio tocco, consegnandole all’immortalità.