di Beatrice Silenzi

Gli anni ’60 del cinema statunitense sono stati brillanti per una serie di opere che non solo sono piaciute al pubblico, ma hanno anche offerto una preziosa lente di ingrandimento sulla società dell’epoca.
Pellicole che hanno dimostrato come le commedie possano essere molto più di semplici momenti di svago, diventando veicoli per riflessioni profonde e satira sociale.

“Hollywood Party” (1968), diretto da Blake Edwards è questo.
La trama segue le disavventure di un attore figurante di nome Hrundi, interpretato magistralmente da Peter Sellers.
Nel tentativo banale di allacciarsi le scarpe, Hrundi causa l’esplosione dell’intero set di un film di guerra.

Il regista, interpretato da un esilarante Fred Clutterbuck, si infuria e licenzia Hrundi che, a causa di una serie di coincidenze fortuite, viene tuttavia invitato a una festa esclusiva a Hollywood, festa in cui seminerà il caos.

“Hollywood Party” è una commedia irresistibile che sfrutta al massimo il talento comico di Peter Sellers e la genialità di Blake Edwards alla regia: una satira pungente sul mondo del cinema, sulla vanità di Hollywood, svelandone eccessi e ipocrisie.

Attraverso gag esilaranti e situazioni comiche, il film mette in evidenza le contraddizioni e le idiosincrasie della società statunitense degli anni ’60.
Ma “Hollywood Party” va oltre il semplice divertimento: sotto la sua facciata comica, si nascondono messaggi più profondi: sulla condizione umana, sulla natura effimera della fama e del successo.

Hrundi ingenuo e goffo rappresenta l’antieroe per eccellenza, un’anima innocente che si muove attraverso un mondo di superficialità e falsità e tutto il film riflette sulle fragilità e sulla ricerca di autenticità in un contesto dominato dalle apparenze.

La brillante sceneggiatura di “Hollywood Party” e la perfetta sinergia tra gli attori sullo schermo rendono il film una commedia indimenticabile, mentre Sellers dimostra ancora una volta la sua grande versatilità nel creare personaggi memorabili.